Da un anno ho iniziato un progetto nelle scuole di cui vado molto fiero.
Vorrei far capire che anche se lavori in qualsiasi campo professionale e hai successo, come nel mio caso, puoi fare un passo indietro, parlando delle tue difficoltà, che sono anche le loro.
Andando in giro per le scuole di tutta Italia, quando incontro i ragazzi raccolti tutti insieme nelle aule magne, non sono sempre sicuro che il mio messaggio sia pienamente recepito, perché la prima cosa alla quale badano è vedere la persona importante che rappresento, non chi realmente sono e chi mi sarebbe piaciuto diventare: un professore di scienze motorie.
Ed è da questo che nasce il mio impegno: andare oltre le apparenze, il lusso, la fama, la ricchezza, per far comprendere anche l’uomo che sono adesso, integro nei miei valori.
Quando un messaggio viene dato da un influencer, viene recepito molto di più, rispetto ad un genitore o ad un insegnante: è un dato di fatto, sebbene discutibile.
Sento perciò di avere una grande responsabilità, perché oggi, se non si ha alle spalle una famiglia solida che ha impresso in te i valori fondamentali dell’unione e dell’amore incondizionato, qualsiasi cosa accada, è difficile affrontare la vita.
Purtroppo, io non ho avuto questo privilegio, ma è proprio per questo che dico a chi ha una famiglia di tenersela stretta.
Un giorno uno studente, dopo aver sentito il mio discorso, mi ha scritto raccontandomi che all’uscita da scuola è tornato a casa e ha abbracciato sua madre, dopo tanto tempo che non lo faceva. Parlando con gli studenti condivido e affronto problemi che vorrei risolvessero, focalizzando l’attenzione principalmente sui seguenti temi:
1. Tradizioni e valori;
2. Body shaming;
3. Integrazione e inclusione;
4. Uso corre&o dei social network.
Spero che i giovani capiscano che in un sistema dove spesso non c’è meritocrazia, bisogna lottare per affermare se stessi attraverso lo studio e l’impegno, per poter arrivare alla realizzazione di sé e al successo personale senza prendere “cattive strade”.
Spesso, la mancanza di autostima da parte di numerosi adolescenti, ad esempio a causa di offese subite riguardanti l’aspetto fisico, li porta a commettere errori, che potrebbero risultare irreversibili. Affrontare le sfide della crescita, seppure con difficoltà, dubbi o incertezze, costruire un’immagine positiva di sé, relazionarsi con i coetanei, fare delle scelte consapevoli, sperimentare e sapersi muovere nel mondo con una certa sicurezza e disinvoltura, sono obiettivi di vita che i nostri messaggi possono contribuire a far maturare nel cuore dei ragazzi.
Un altro tema che ho spesso affrontato è quello della differenza fra l’integrazione e l’inclusione. Occorre fare spazio alla ricchezza della diversità, adeguando, di volta in volta, prassi e atteggiamenti in base ad ogni specifica realtà, all’unicità di ciascuno.
Per fare tutto ciò, però, servono competenze diffuse in tutti gli attori coinvolti, formazione continua, dialogo efficace con le famiglie e azioni concrete sul territorio.
La scuola deve essere attenta ai bisogni dei propri alunni e sensibile alle difficoltà che emergono a partire dalle loro istanze e deve sempre cercare di potenziare la cultura dell’inclusione per rispondere in modo efficace alle necessità di ogni alunno, in particolare di coloro che, costantemente o per determinati periodi, manifestino Bisogni Educativi Speciali.
Oggi, nella realizzazione di percorsi educativi, la scuola può trasformare l’aula tradizionalmente intesa in laboratori concepiti come luoghi di scoperta, di ricerca creativa in costante sperimentazione, attraverso metodologie e tecniche di apprendimento rivolte alle esigenze individuali di ciascun alunno.
Per quanto concerne la rivoluzione digitale della nostra epoca, la differenza che dovrebbe fare la scuola non consiste tanto (o soltanto) nell’accrescere le competenze informatiche degli studenti, ma dovrebbe far sì che dietro l’utilizzo di una App o dei social media vi siano azioni ragionate e consapevoli, e cioè che l’uso della tecnologia digitale sia accompagnato dal senso di responsabilità. È vero, infatti, che i ragazzi conoscono il mondo virtuale talora meglio degli adulti, ma a questi ultimi spetta il compito di educare ad un uso positivo delle tecnologie, soprattutto nell’ambito della comunicazione.
La sociolinguista Vera Gheno, in un interessante articolo sui nativi digitali, ci ricorda infatti che è indubbio che esistano già alcune generazioni di ragazzi nati e cresciuti con i dispositivi elettronici in mano: da questo punto di vista, il mito del nativo digitale rispecchia una situazione reale. Va però sfatata l’idea che crescere con la tecnologia a disposizione renda i nativi digitali automaticamente alfabetizzati digitali. In altre parole, all’incremento di tecnologia dei più giovani non sempre si associano adeguate competenze comunicative; il dato anagrafico preso come unico fattore distintivo tra esperti e non esperti non è sufficiente ai fini di una valutazione degli effetti e dei potenziali vantaggi: nuovi analfabetismi possono svilupparsi online e portare, da nativi, alle condizioni si “disagiati digitali”.
Gli esperti consigliano di discutere, parlare e confrontarsi sempre con i figli, tenendo sotto controllo ciò che fanno quando utilizzano i social network. È quindi fondamentale accrescere la consapevolezza sul e nel corretto utilizzo degli strumenti digitali, aiutando i giovani a trarne benefici riducendone i rischi.
È del resto da tempo avvertita l’esigenza di ‘stipulare’ un nuovo contratto sociale per le future generazioni, che superi il pur ampio perimetro tracciato da Rousseau. Condivido perciò la convinzione che l’istruzione abbia bisogno di una didattica sempre nuova e aggiornata nelle scuole. Ho posto a tutti gli studenti delle scuole che ho visitato la medesima domanda: “che tipo di scuola vorreste?” La risposta è stata unanime: una scuola che ponga al centro del processo formativo non i programmi, ma gli studenti, studenti che non si sentano mai soli, dove il rapporto con gli insegnanti non sia semplicemente una condizione formalizzata dall’istituzione stessa e che vada oltre le finalità dell’apprendimento delle discipline, per approdare a una relazione di fiducia reciproca priva di riserve.
L’obiettivo ricercato dai ragazzi stessi è una vera scuola 2.0, che basa la didattica su strumenti all’avanguardia e che è aperta all’utilizzo delle nuove tecnologie per spiegare le materie in modo nuovo e diverso, innovativo e ‘intelligente’, con ambienti più confortevoli, luoghi dove è piacevole stare. Il rischio, in alternativa, è che i giovani che terminano il loro percorso di studi preferiscano andare all’estero per potersi sentire realizzati e gratificati.
La valorizzazione dei talenti non deve essere un’eccezione, ma una regola.
Gli studenti hanno bisogno di una scuola che i sogni li concretizza e non li mette nel cassetto. Bisogna supportarli con attenzione, ogni giorno, aiutandoli a realizzare questi sogni e a credere in un futuro migliore.